sabato 26 settembre 2009

mercoledì 23 settembre 2009

Il congiuntivo è morto? Ma mi facci il piacere!




 Il congiuntivo è un elegante modo verbale che serve a indicare un’azione incerta, ipotizzabile, desiderata, dubbia. È per questo, probabilmente, che il suo uso è così soggettivo: c’è chi rispetta le regole grammaticali e chi no, a volte per vezzo altre per vizio, in maniera sintatticamente trasversale rispetto al livello socio-culturale del soggetto, parlante o scrivente che sia, dalla velina all’intellettuale. Non è rimasta nella storia della televisione, e di per sé neppure della lingua italiana, ma è rivelatrice di una tendenza nazional-popolare, quella volta che Manuela Arcuri - qui simbolicamente assurta a grado zero della scrittura - a un festival di Sanremo, per poter dimostrare le sue doti chiromantiche, chiese a Pippo Baudo, tenendogli al mano: «Vuoi che te la leggo?», così come non è rimasta nella storia del giornalismo, e di per sé neppure della lingua italiana, ma è ugualmente rivelatrice di una tendenza radical-chic, la volta che Eugenio Scalfari - qui ironicamente assurto a grado massimo della scrittura - su Repubblica, iniziò un editoriale con la sentenza: «Credo che Dio è un’invenzione della mente».


Di certo il congiuntivo è un’invenzione diabolica della lingua, ed è indicativo che ci passino sopra celebri penne e anonimi ignoranti. Il comune senso dell’errore. Come ha fatto notare tempo fa Filippo Facci, che non è un congiuntivo sbagliato ma un giornalista, Giuliano Ferrara una volta, sul Foglio, in venti righe piazzò dentro un «Penso che quella è stata ed è una guerra giusta», un «Penso che è una benedizione» e un «Penso che la guerra americana non ha decretato il terrorismo». Il maestro Ferrara quel giorno, platealmente, decise di abolire il congiuntivo nella lingua scritta. Recentemente un altro intellos, l’assessore alla cultura di una ridente metropoli lombarda, ha concluso la sua prima conferenza stampa con un emozionato «Vorrei che la cultura si dasse questa dimensione anagrafica», abolendolo (almeno nella sua forma corretta) anche nella lingua parlata e dimostrando che, così come il congiuntivo non è a esclusivo appannaggio delle subordinate, il suo uso scorretto non lo è dei subacculturati. Se Paolo Virzì - uno che per Ovosodo, nel 1997, scelse come protagonista un ragazzo cresciuto in un quartiere popolare di Livorno dove «basta un congiuntivo di più e sei bollato come finocchio» - nel recente Tutta la vita davanti ha messo in bocca alla splendida Sabrina Ferilli, burina quarantenne in carriera, la traballante battuta «Sabato inauguro la mia nuova casa... Vorrei che ci sei anche tu», significa che la congiunzione tra persona ignorante ed errore grammaticale è solo un luogo comune, e come tale falso.


Come è falso il luogo comune che dà ormai per morto il congiuntivo, ammazzato dalla televisione, dai nuovi media, dall’analfabetismo di ritorno, da Aldo Biscardi e dal suo emulo Marco Mazzocchi che si dà molto da fare «Ma credo che non ce la fa», i quali giornalisti, comunque, svettano come docenti di Filologia romanza rispetto a quel tale ministro della Pubblica istruzione che, anni fa, al Tg2 dichiarò «Vorrei che ne parliamo» e poi, a un giornale che gliene chiedeva conto, puntualizzò: «Non è colpa mia se la prima persona plurale dell’indicativo e del congiuntivo presente sono uguali: parliamo». E parliamone, basta che vi decidete.


Luigi Mascheroni

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=384616&LINK=MB_T


Ho postato questo articolo che mi è parso interessante, anche se un pò lungo. Ogni tanto, da qualche anno a questa parte, si parla di "morte" del Congiuntivo. E' vero che la maggior parte delle persone, acculturate o no, non se ne serve quasi più nella lingua parlata.
Io però al congiuntivo sono affezionata e la sua assenza nel linguaggio la posso perdonare solo a Totò.

Riporto una specie di "poesia" che ho scritto tempo fa quando in TV si parlò dell' uso del congiuntivo da parte dei giovani.

        CONGIUNTIVI

 


 

“La gioventù rifiuta i congiuntivi.”


Qualcuno ha detto: -Sono vecchi-


Dopo averli tanto usati,


anche i verbi se ne vanno,


spazzati via, ormai secchi.


 


I sostantivi bastano.


Concessi articoli e aggettivi,


 qualche preposizione


ad evitar che insorga


un po’ di confusione.


 


Cambia il modo di fare,


di scrivere, comunicare.


I sentimenti restano


uguali come sempre.


I ragazzi amano, soffrono,


ridono allegramente.


 


A me ora che resta?


L’uso del congiuntivo,


la frase ben forbita,


il cuore un poco a pezzi,


 


l’amore per la vita.




 

 

venerdì 18 settembre 2009

Kabul: Il massacro fa esplodere i problemi veri

Ho trovato questo articolo molto interessante e lo propongo a chi ha la pazienza di leggere e la volontà di farlo.



 


Quanti anni luce dista l’Italia da Kabul? Qui parliamo d’inferno per un nubifragio o una coda in autostrada, di guerra e linciaggio per le beghe politiche o televisive, di killer per un articolo e di gente che salta per aria alludendo a un direttore dimissionario. Poi un giorno abbiamo davanti agli occhi l’inferno vero di Kabul, la guerra dei talebani contro noi occidentali, un kamikaze killer che fa saltare in aria non per modo di dire una decina di nostri soldati. E allora capiamo come quest’Italia viva in una bambagia di ipocrisie, usando metafore improprie e dimenticando la realtà. Crede di essere entrata nell’era della globalizzazione e invece vive un suo universo provinciale, a circuito chiuso, dove tutto finisce a Porta a Porta o in tribunale. Abbiamo perso il respiro della storia e abbiamo abbandonato alla solitudine i parà che sono a Kabul, ma anche i nostri che rischiano la pelle in Somalia o dove diavolo li porta la cruda realtà. Non capiamo più cos’è la storia, cos’è la guerra, cosa sono i soldati e i guerriglieri, non siamo in grado di capire la virulenza dei fanatici e l’uso delle bombe. Per avere una vaga idea di quel che succede, dobbiamo equiparare l’attentato di Kabul o di Nassirya agli incidenti stradali, ai terremoti, alle tragedie come quella di Viareggio. Non siamo più in grado di capire cos’è una guerra e cos’è l’odio.
(segue nel link sottostante)



                                                               www.ilgiornale.it/a.pic1

giovedì 17 settembre 2009

Le parole di Madre Teresa

Per i soldati della Folgore morti nell' adempimento del loro dovere





lunedì 14 settembre 2009

Auto d'epoca.

Oggi esposizione di auto d' epoca alla festa del paese. Purtroppo sono arrivata tardi e molte auto non c' erano più.
Vedendone alcune che ricordavo di aver visto quando ero bambina ho pensato: " Mamma mia! Allora sono d' epoca anch' io".














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domenica 13 settembre 2009

Rifugio degli asinelli

Oggi sono andata con mio marito e  la mia nipotina in un luogo di collina dove è stato allestito un grande parco a rifugio di molti asini (più di un centinaio) salvati da varie situazioni difficili. E' un luogo molto bello, nel verde, dove gli asini hanno grandi spazi a disposizione.
Ogni recinto ha una propria caratteristica
: madri che hanno appena partorito o incinte; puledri svezzati, asinelli che incominciano a fare amicizia con i compagni.
Ci hanno spiegato che ogni asino ha sempre un amico e infatti li abbiamo visti viaggiare in coppia. Le stalle sono nuove, moderne e funzionali. Vi è il luogo per la quarantena, dove ogni animale deve rimanere per qualche tempo (sempre in coppia) per evitare che trasmetta malattie eventuali agli altri.
In una specie di "clinica" abbiamo potuto vedere un asinello operato da poco che zoppicava in compagnia del suo amico del cuore.
E' stata una giornata bella, al  termine della quale per Francesca abbiamo "adottato" un asinello per un anno. E' un contributo irrisorio che aiuta questa associazione (onlus) a prendersi cura degli animali.
L' asino di Francesca si chiama Pufulet, viene dalla Romania: è stato trovato all' età di un anno (ora ne ha due) in acqua stagnante, mezzo congelato e denutrito. Ora sta bene.
Ecco la foto degli asinelli da adottare a distanza:

da adottare
Pufulet
Pufulet
Asinelli amici
Amici

giovedì 10 settembre 2009

Silenzi

Dal canto del gallo alle campane del vespero: un susseguirsi di suoni  nel silenzio della nostra anima che si pone in ascolto.


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